
In uscita in Italia, la commedia grottesca “Morto un Stalin, se ne fa un altro“, sui giorni che portarano dalla morte di Stalin alla salita al potere di Kruščëv.
Il 2 marzo 1953 Josip Stalin moriva improvvisamente, colto da un ictus fulminante. Ebbe così inizio una rapida lotta per la successione, tra l’incredulità, la gioia, le nevrosi e le incertezze di molti esponenti delle alte gerarchie sovietiche e le reazioni più diversificate dei cittadini.
Una fase frenetica in cui si studiavano i nuovi indirizzi da conferire al partito e al paese, fino al trionfo finale della linea e della persona di Nikita Kruščëv.
Ispirato al fumetto che porta lo stesso titolo (di Fabien Nury e Thierry Robins), il film dello scozzese Armando Iannucci – sceneggiato dallo stesso regista, in compagnia di David Schnedier e Ian Martin – propone un’interpretazione satirica e surreale del clima di quei giorni.
Vi si esaltano con ironia tanto le bizzarrie tipiche di certi contesti di potere quanto le paranoie, i complotti e le fobie che si immagina vi serpeggiassero. Cadute di stile grottesche, sospetti e comportamenti decisamente sopra le righe si scatenano in modo frenetico in una girandola di eventi imprevisti, in cui le alleanze e le inimicizie possono comporsi e decomporsi nel giro di pochi istanti.

I numerosi cambi di ritmo della regia e del montaggio rendono molto bene un clima generale così appesantito da tensioni che si intrecciano, spesso risolvendosi in nulla, e da violenze consumate con rapidità ed indifferenza, come le esecuzioni sommarie degli oppositori. Tutto ciò viene chiaramente rappresentato in prospettiva bizzarra e ironica, dagli esiti spesso esilaranti.
Nel complesso la pellicola esprime una insistita presa in giro dei formalismi burocratici e delle goffaggini di personaggi resi spesso volgari e naïf dalla loro smodata ambizione. Di alto livello sono le interpretazioni degli attori – fra cui Steve Bushemi e Jason Isaacs – e piuttosto raffinata la regia, ma non sono pochi gli elementi che lasciano qualche dubbio sulla completa riuscita del lavoro e sul suo portato satirico.
Ciò che soprattutto si nota è che, se i personaggi sono tratteggiati in modo molto accurato, un poco meno convincente è la messa in scena nel suo complesso. Molto gradevole è l’ironia british e l’atmosfera generale della storia, ma il prodotto finale è lontano dagli esiti qualitativi di Top Secret! (di Jim Abrahams, David Zucker e Jerry Zucker) o dei lavori dei Monty Python, dai quali pure proviene Michael Palin, qui nel ruolo di Molotov.
Discutibile, poi, è l’assenza totale di qualsiasi espressione, scritta o parlata, in lingua russa (tutto è in inglese, anche i documenti e i messaggi sulle corone funebri; inascoltabile è la pronuncia anglicizzata del nome di Kruščëv) e il predominio integrale dell’approccio anglosassone non solo nella forma, ma anche nei contenuti.

The Death of Stalin
Gran Bretagna/Francia/Belgio 2017
Regia di Armando Iannucci
Durata 107′